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Covid, responsabilità e libertà di culto
ERRORE SERIO, MA RIPARABILE.
Ne bis in idem, Paganini non si ripete... Ci sono frasi celebri, brocardi e ammonimenti che invitano per diverse ragioni a non tornare su una questione già affrontata, a non farlo con leggerezza, a evitare le parole già scritte. A volte però è utile. E qualche volta inevitabile. Questo è il caso. Anche perché non sono un artista, come lo era l’immenso Niccolò Paganini, che rifiutava di suonare due volte lo stesso pezzo nello stesso concerto e ancor meno mi sento un giudice e, per di più, di quelli che pretendono di sentenziare per due volte sulla stessa vicenda... Intendo ripetere semplicemente qui le parole di commento alle dichiarazioni del premier Giuseppe Conte sulla nuova e complessa fase di «convivenza col virus» che ho scritto domenica sera sul nostro sito internet per accompagnare il fermo e accorato (non adirato!) «disaccordo» espresso dai vescovi italiani per il rinvio a data da destinarsi della questione di una pur sacrificata ripresa della vita sacramentale dei credenti. Lo faccio per chi non le ha lette online o le ha lette in fretta e magari le ha salutate come una finalmente aspra "rivendicazione".
Ma ripeto quelle parole anche per chi le ha qualificate come richiesta avventata e irriflessiva di garantire, a pandemia ancora in corso, un privilegio ingiusto per la Chiesa cattolica. Eccole. La cautela e le raccomandazioni con le quali il presidente del Consiglio ha annunciato il graduale ingresso dell’Italia nella cosiddetta Fase 2 dell’emergenza sanitaria da coronavirus sono comprensibili e lodevoli. Anche se si vede la luce, non siamo affatto fuori dal tunnel della pandemia. Ed è giusta e necessaria la fedeltà all’alleanza tra scienza e politica che all’inizio della crisi avevamo auspicato dalla prima pagina di 'Avvenire' in un editoriale affidato alla penna di un grande medico e nostro collaboratore, il professor Walter Ricciardi.
C’è bisogno di competenza e di calibrata fermezza per vincere la sfida rappresentata dal Covid-19. Ma sconcerta, preoccupa e ferisce l’orientamento – maturato, come ha sottolineato lo stesso premier, nel confronto finale tra autorità di governo e 'tecnici' – a negare ancora, per settimane e forse mesi, ai credenti la possibilità di partecipare, naturalmente secondo rigorose regole di sicurezza, a funzioni religiose diverse dai funerali (gli unici finalmente consentiti). È un errore molto grave. Non si può pensare di affrontare una generale 'ripartenza' che si annuncia delicatissima rinunciando inspiegabilmente a valorizzare la generosa responsabilità con cui i cattolici italiani – come i fedeli di altre confessioni cristiane e di altre religioni – hanno accettato rinunce e sacrifici e, dunque, senza dare risposta a legittime, sentite e del tutto ragionevoli attese della nostra gente.
Sarà molto difficile far capire perché, ovviamente in modo saggio e appropriato, poco a poco si potrà tornare in fabbriche e in uffici, entrare in negozi piccoli e grandi di ogni tipo, andare in parchi e giardini e invece non si potrà partecipare alla Messa. Sarà difficile perché è una scelta miope e ingiusta. E i sacrifici si capiscono e si accettano, le ingiustizie no. Fin qui le parole già dette. Poi sono venuti nella notte di domenica e ieri accenti nuovi e diversi sulla questione dal premier e da molte e autorevoli voci politiche e di governo. Gli errori si possono fare e si possono riparare. Dimostrarlo, nel tempo lungo della corresponsabilità che ci sta davanti, darà più forza e più serenità a tutti.
(Marco Tarquinio - Fonte: Avvenire)