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Il Regina Caeli di papa Francesco
Domenica 18 Aprile. Dopo oltre un mese papa Francesco torna ad affacciarsi in piazza San Pietro dalla finestra del Palazzo apostolico per la recita del Regina Caeli (la preghiera mariana che sostituisce l’ Angelus nel tempo di Pasqua): «Grazie a Dio», dice, «possiamo ritrovarci di nuovo in questa piazza per l’ appuntamento domenicale e festivo. Vi dico una cosa: mi manca la piazza quando devo fare l’ Angelus in Biblioteca. Sono contento, grazie a Dio! E grazie a voi per la vostra presenza».
La preoccupazione del Pontefice è per l’ Ucraina: «Seguo con viva preoccupazione gli avvenimenti in alcune aree dell’ Ucraina orientale, dove negli ultimi mesi si sono moltiplicate le violazioni del cessate-il-fuoco, e osservo con grande inquietudine l’ incremento delle attività militari», dice prima di lanciare un appello: «Per favore, auspico fortemente che si eviti l’ aumento delle tensioni e, al contrario, si pongano gesti capaci di promuovere la fiducia reciproca e favorire la riconciliazione e la pace, tanto necessarie a tanto desiderate. Si abbia a cuore anche la grave situazione umanitaria in cui versa quella popolazione, alla quale esprimo la mia vicinanza e per la quale v’ invito a pregare». E recita un’ Ave Maria insieme ai fedeli presenti in piazza.
È la terza domenica di Pasqua e il Pontefice si sofferma sull’ episodio dei discepoli di Emmaus, i quali, spiega, «avevano ascoltato con grande emozione le parole di Gesù lungo la via e poi lo avevano riconosciuto “nello spezzare il pane”. Ora, nel Cenacolo, Cristo risorto si presenta in mezzo al gruppo dei discepoli e li saluta: “Pace a voi!”. Ma essi sono spaventati e credono “di vedere un fantasma”, così dice il Vangelo. Allora Gesù mostra loro le ferite del suo corpo e dice: “Guardate le mie mani e i miei piedi – le piaghe –: sono proprio io! Toccatemi”. E per convincerli, chiede del cibo e lo mangia sotto i loro sguardi sbalorditi».
Francesco nota che c’ è «un particolare qui, in questa descrizione. Dice il Vangelo che gli Apostoli “per la grande gioia ancora non credevano”. Era tale la gioia che avevano che non potevano credere che quella cosa fosse vera. E un secondo particolare: erano stupefatti, stupiti; stupiti perché l’ incontro con Dio ti porta sempre allo stupore: va oltre l’ entusiasmo, oltre la gioia, è un’ altra esperienza. E questi», aggiunge, «erano gioiosi, ma una gioia che faceva pensare loro: no, questo non può essere vero!… È lo stupore della presenza di Dio. Non dimenticare questo stato d’ animo, che è tanto bello». Questa pagina evangelica, sottolinea il Papa, «è caratterizzata da tre verbi molto concreti, che riflettono in un certo senso la nostra vita personale e comunitaria: guardare, toccare e mangiare. Tre azioni che possono dare la gioia di un vero incontro con Gesù vivo».
La prima azione è guardare. «“Guardate le mie mani e i miei piedi” – dice Gesù. Guardare non è solo vedere, è di più, comporta anche l’ intenzione, la volontà», afferma Bergoglio, «per questo è uno dei verbi dell’ amore. La mamma e il papà guardano il loro bambino, gli innamorati si guardano a vicenda; il bravo medico guarda il paziente con attenzione… Guardare è un primo passo contro l’ indifferenza, contro la tentazione di girare la faccia da un’ altra parte, davanti alle difficoltà e alle sofferenze degli altri. Guardare. Io vedo o guardo Gesù?».
Il secondo verbo è toccare: «Invitando i discepoli a toccarlo, per constatare che non è un fantasma – toccatemi! –, Gesù indica a loro e a noi che la relazione con Lui e con i nostri fratelli non può rimanere “a distanza”, non esiste un cristianesimo a distanza, non esiste un cristianesimo soltanto sul piano dello sguardo», avverte il Papa, «l’ amore chiede il guardare e chiede anche la vicinanza, chiede il contatto, la condivisione della vita. Il buon samaritano non si è limitato a guardare quell’ uomo che ha trovato mezzo morto lungo la strada: si è fermato, si è chinato, gli ha medicato le ferite, lo ha toccato, lo ha caricato sulla sua cavalcatura e l’ ha portato alla locanda. E così con Gesù stesso: amarlo significa entrare in una comunione di vita, una comunione con Lui».
Il terzo verbo, mangiare, «esprime bene», spiega Francesco, «la nostra umanità nella sua più naturale indigenza, cioè il bisogno di nutrirci per vivere. Ma il mangiare, quando lo facciamo insieme, in famiglia o tra amici, diventa pure espressione di amore, espressione di comunione, di festa... Quante volte i Vangeli ci presentano Gesù che vive questa dimensione conviviale! Anche da Risorto, con i suoi discepoli. Al punto che il Convito eucaristico è diventato il segno emblematico della comunità cristiana. Mangiare insieme il corpo di Cristo: questo è il centro della vita cristiana», ricorda il Papa.