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Liturgia della Domenica 25 Agosto - Il commento di Don Claudio
Si conclude oggi la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, con il discorso sul “Pane della vita”, pronunciato da Gesù all’indomani del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Alla fine di quel discorso, il grande entusiasmo del giorno prima si spense, perché Gesù aveva detto di essere il Pane disceso dal cielo, e che avrebbe dato la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda, alludendo così chiaramente al sacrificio della sua stessa vita. Quelle parole suscitarono delusione nella gente, che le giudicò indegne del Messia, non “vincenti”. Così alcuni guardavano Gesù: come un Messia che doveva parlare e agire in modo che la sua missione avesse successo, subito. Ma proprio su questo si sbagliavano: sul modo di intendere la missione del Messia! Perfino i discepoli non riescono ad accettare quel linguaggio inquietante del Maestro. E il brano di oggi riferisce il loro disagio: «Questa parola è dura! - dicevano - Chi può ascoltarla?» (Gv. 6,60).
In realtà, essi hanno capito bene il discorso di Gesù. Talmente bene che non vogliono ascoltarlo, perché è un discorso che mette in crisi la loro mentalità. Sempre le parole di Gesù ci mettono in crisi, e in qualche modo noi cerchiamo sempre di addomesticarle. Ma Gesù offre la chiave per superare la difficoltà; una chiave fatta di tre elementi.
1°, la sua origine divina: Egli è disceso dal cielo e salirà «là dov’era prima» (v. 62).
2°: le sue parole si possono comprendere solo attraverso l’azione dello Spirito Santo, Colui «che dà la vita» (v. 63) è proprio lo Spirito Santo che ci fa capire bene Gesù.
3°: la vera causa dell’incomprensione delle sue parole è la mancanza di fede: «Tra voi ci sono alcuni che non credono» (v. 64), dice Gesù. Infatti, da allora, racconta il Vangelo, «molti dei suoi discepoli tornarono indietro» (v. 66). Di fronte a queste defezioni, Gesù non fa sconti e non attenua le sue parole, anzi costringe a fare una scelta precisa: o stare con Lui o separarsi da Lui, e ai Dodici dice: «Volete andarvene anche voi?» (v. 67).
A questo punto Pietro fa la sua confessione di fede a nome degli altri Apostoli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (v. 68). Non dice “dove andremo?”, ma “da chi andremo?”. Il problema di fondo non è andare e abbandonare l’opera intrapresa, ma è da chi andare. Da quell’interrogativo di Pietro, noi comprendiamo che la fedeltà a Dio è questione di fedeltà a una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme sulla stessa strada. E questa persona è Gesù. Tutto quello che possiamo avere nel mondo non sazia la nostra fame di infinito. Abbiamo bisogno di Gesù, di stare con Lui, di nutrirci alla sua mensa, alle sue parole di vita eterna! Credere in Gesù significa fare di Lui il centro, il senso della nostra vita. Cristo non è un elemento accessorio: è il “pane vivo”, il nutrimento indispensabile. Legarsi a Lui, in un vero rapporto di fede e di amore, non significa essere incatenati, ma profondamente liberi, sempre in cammino.
E ancora una volta è quanto mai importante chiedersi: Gesù, per me, chi è? Che peso ha nella mia vita, nelle mie scelte, nel mio dirmi cristiano? Egli è quella persona che mi ama che ha dato la sua vita per me e cammina con me? Non basta una risposta prestampata occorre una risposta data con la vita, con il mio essere, con la mia testimonianza, con il mio dare tempo a Colui che per me si fa parola attraverso la Sacra Scrittura (e mi metto in ascolto) e si fa nutrimento per il mio andare oggi e per l’eternità, con il pane eucaristico.