- Questo sito usa cookie per fornirti un'esperienza di navigazione migliore.
- approfondisci
- ok
Liturgia della Domenica 27 Aprile - Il commento di Don Claudio
Ottava di Pasqua.
Domenica che chiude questa settimana che liturgicamente ci ha fatto respirare la bellezza di un unico grande giorno: il giorno della Pasqua distribuito su otto giorni: Questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci ed esultiamo. E nel contesto di questa domenica, domenica anche della Divina Misericordia, il Vangelo di Giovanni ci racconta delle due apparizioni del Risorto lo stesso giorno di Pasqua, assente Tommaso ed esattamente otto giorni dopo con la presenza di Tommaso.
Il brano offre numerosi spunti per la nostra riflessione ma io vorrei soffermarmi sulle parole dell’Apostolo incredulo. Quante volte, la domenica, partecipando all’eucaristia domenicale facciamo la nostra professione di fede. La facciamo insieme ma al singolare... ognuno di noi dice Credo! Lo prevede la liturgia, professiamo insieme alla comunità... ma quanto questo dire Credo ci appartiene? Quanto abbiamo la sincera consapevolezza di ciò che le labbra dicono mentre magari il cuore è lontano dal nostro dire... Tommaso è raggiunto dalla gioia dei suoi confratelli: “Abbiamo visto il Signore” ma lui rimane freddo, staccato, poco partecipe... “Se non vedo, se non tocco io non credo”.
La nostra fede spesso si muove su queste coordinate. Diciamo credo ... ma facciamo non poca fatica a raccontare, non tanto con le parole, ma con la vita stessa. Quell’incontro con il Signore che ogni domenica dovrebbe renderci testimoni gioiosi e credibili con ciò che noi siamo e con ciò che noi diciamo spesso ci scivola addosso e torniamo alla vita di tutti i giorni senza un sussulto che dovrebbe farci vivere da risorti. La professione di Tommaso fatta otto giorni dopo, come oggi, dice una presa di consapevolezza del Signore risorto!
Non sappiamo se effettivamente Tommaso abbia toccato, il Vangelo non lo dice... sappiamo che Egli professa la sua fede in maniera consapevole, di certo non solo con le labbra, ma soprattutto con il cuore: “Mio Signore e mio Dio”. Quel “mio” di Tommaso è fede autentica, è respiro che da vita, è appartenenza al Suo Signore che riconosce come Dio.
Quanto noi ci lasciamo interpellare (?) da una professione di fede che sia autentica espressione del nostro essere del Signore, del nostro appartenere a Lui. Non dimenticando poi che noi, se crediamo, siamo beati, perché pur non vedendo i segni della Passione sul corpo del risorto crediamo!