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Liturgia della Domenica 8 Settembre - Il Commento di Don Claudio
Nel Vangelo di oggi Gesù prende in disparte un sordomuto, gli pone le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua, quindi guarda verso il cielo, sospira e dice: «Effatà», cioè «Apriti!».
In altre guarigioni, per infermità altrettanto gravi, come la paralisi o la lebbra, Gesù non compie tanti gesti. Perché ora fa tutto questo (?), nonostante gli abbiano chiesto solo di imporre la mano al malato? Perché fa questi gesti?
Forse perché la condizione di quella persona ha una particolare valenza simbolica.
Essere sordomuti è una malattia, ma è anche un simbolo. E questo simbolo ha qualcosa da dire a tutti noi. Di che cosa si tratta? Si tratta della sordità. Quell’uomo non riusciva a parlare perché non poteva sentire. Gesù, infatti, per risanare la causa del suo malessere, gli pone anzitutto le dita negli orecchi, poi alla bocca, ma prima negli orecchi.
Tutti abbiamo gli orecchi, ma tante volte non riusciamo ad ascoltare. Perché? C’è una sordità interiore, che oggi possiamo chiedere a Gesù di toccare e risanare. E quella sordità interiore è peggiore di quella fisica, perché è la sordità del cuore.
Presi dalla fretta, da mille cose da dire e da fare, non troviamo il tempo per fermarci ad ascoltare chi ci parla. Rischiamo di diventare impermeabili a tutto e di non dare spazio a chi ha bisogno di ascolto: pensiamo ai nostri figli, ai più giovani e ancora agli anziani, a molti che non hanno tanto bisogno di parole e di prediche, ma di ascolto.
Potremmo chiederci: come va il nostro ascolto? Ci lasciamo toccare dalla vita della gente, dedicando tempo a chi ci sta vicino per ascoltare? Questa è una domanda che vale per tutti noi.
Prima ascoltare, poi rispondere! Pensiamo alla vita in famiglia: quante volte si parla senza prima ascoltare, ripetendo i propri ritornelli sempre uguali! Incapaci di ascolto, diciamo sempre le solite cose, o non lasciamo che l’altro finisca di parlare, di esprimersi, e noi lo interrompiamo. Oppure siamo chiusi nel nostro mondo digitale e seppure usciamo a mangiare una pizza assieme, ma questo succede anche in casa… ci estraniamo dagli altri ricurvi sui nostri cellulari.
La rinascita di un dialogo, spesso, passa non dalle parole, ma dal silenzio, dal non impuntarsi, dal ricominciare con pazienza ad ascoltare l’altro, ascoltare le sue fatiche, quello che porta dentro. La guarigione del cuore comincia dall’ascolto. Ascoltare!
E questa regola vale anche con il Signore. Facciamo bene a inondarlo di richieste, ma faremmo meglio a porci anzitutto in suo ascolto.
Gesù lo chiede. Nel Vangelo, quando gli domandano qual è il primo comandamento, risponde: «Ascolta, Israele». Shemà Israel! Posto prima di ogni regola, di ogni comandamento. “Ascolta, Israele”. Ascolta, tu.
Ci ricordiamo di metterci in ascolto del Signore? Siamo cristiani ma magari, tra le migliaia di parole che sentiamo ogni giorno, non troviamo qualche secondo per far risuonare in noi poche parole del Vangelo. Gesù è la Parola: se non ci fermiamo ad ascoltarlo, passa oltre. Se noi non ci fermiamo per ascoltare Gesù, passa oltre.
Sant’Agostino diceva: “Ho paura del Signore quando passa”. E la paura era di lasciarlo passare senza ascoltarlo. Ma se dedichiamo tempo al Vangelo, troveremo un segreto per la nostra salute spirituale. Ecco la medicina: ogni giorno un po’ di silenzio e di ascolto, qualche parola inutile in meno e qualche Parola di Dio in più. Uno dei 96 quarti d’ora della giornata dedicati a Lui!
Sentiamo rivolta a noi oggi, come nel giorno del Battesimo, quella parola di Gesù: “Effatà, apriti”! Apri le orecchie, apri il cuore.
Gesù, desidero aprirmi alla tua Parola; Gesù, aprimi al tuo ascolto; Gesù, guarisci il mio cuore dalla chiusura, guarisci il mio cuore dalla fretta, guarisci il mio cuore dall’impazienza.