Liturgia della Domenica delle Palme 13 Aprile - Il commento di Don Claudio

palme 25La Domenica delle Palme è domenica della Passione del Signore. Nella pagina del Vangelo ascoltiamo il racconto della Passione secondo Luca. È il lungo testo che ci introduce nell’evento tragico della morte di Gesù. Il terzo evangelista, cantore della tenerezza, della gioia e della grande pietà del Messia, presta particolarmente attenzione ad alcuni momenti della Passione che dimostrano come Gesù, fino alla morte, non ha fatto altro che passare in mezzo agli uomini facendo del bene.

Il soldato ferito all’orecchio viene guarito; Gesù rivolge lo sguardo a Pietro che lo ha tradito, sulla croce ha parole di perdono per il ladrone, per i Giudei che lo scherniscono, per il centurione. Egli non soltanto muore per mano degli empi, ma muore a favore degli empi. La croce è la rivelazione di un amore che arriva fino al limite estremo e si esprime secondo misure che travalicano le possibilità semplicemente umane. Per questo i Padri della Chiesa chiamavano la croce “il gran libro dell’arte di amare”.

«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Uno dei due briganti crocifissi insieme a Gesù si rivolge a lui con questo atto di fede: ha riconosciuto il proprio peccato chiedendogli: «Ricordati di me». È l’unico personaggio nei Vangeli che si rivolge a Gesù chiamandolo confidenzialmente per nome. È il momento decisivo della sua vita: ha incontrato Gesù in quel momento terribile di dolore e di morte, ma ha riconosciuto che in quell’uomo è presente Dio, il re, e attende il regno. Può diventare la nostra preghiera, il nostro desiderio profondo: chiedere al Signore che si ricordi di noi.

Anche noi però dobbiamo ricordare la Passione di Gesù, il suo stile, la sua parola: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Ricordare Gesù vuol dire imparare a perdonare, a essere generosi anche con chi ci ha fatto del male; ricordare la sua Parola vuol dire imitarlo. L’ultima parola di Cristo in croce è: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». È un atto di fiducia, è la stessa fiducia del malfattore nei suoi confronti. Nella Passione Gesù mostra la misericordia di Dio Padre: la violenza non spegne l’amore, ed è proprio quell’amore buono, concretamente affettuoso che conquista e che salva. Chiaro è l’intento di sottolineare nella morte di Gesù l’aspetto della fiducia; aspetto per il quale Gesù è - anche nella sua morte - il modello del discepolo. Stefano negli Atti degli Apostoli morirà ripetendo la stessa invocazione, rivolta in tal caso al Signore Gesù; la morte di Stefano ripropone il modello della morte del buon ladrone. Come se Luca volesse dire: il discepolo è chiamato a vivere la sua morte immerso, portato, dalla morte del Signore e Maestro.

Ci sono momenti in cui come Gesù si passa attraverso prove tremende di dubbio, come se il bene compiuto non avesse più alcun valore e si fosse costretti a misurarsi con il vuoto, l’assenza di senso, il silenzio di una voce che si vorrebbe ascoltare. Ci si arrovella allora disperatamente attorno a un intrico di domande che non si riesce a dominare: «Valeva la pena di amare così tanto? Che frutti ha dato tutto il bene che si è seminato? Perché il bene si deve pagare anche con l’ingratitudine e la solitudine?». Ma se si contempla la croce, forse una risposta può raggiungere il cuore di ciascuno, come una piccola luce che si irradia attraverso le movenze di una benefica emozione.