- Questo sito usa cookie per fornirti un'esperienza di navigazione migliore.
- approfondisci
- ok
Liturgia della Domenica 28 Aprile - Il Commento di Don Claudio
Nel Vangelo di questa quinta Domenica di Pasqua (Gv 15, 1-8), il Signore si presenta come la vera vite e parla di noi come i tralci che non possono vivere senza rimanere uniti a Lui. Dice così: «Io sono la vite, voi i tralci» (v. 5). Non c’è vite senza tralci, e viceversa. I tralci non sono autosufficienti, ma dipendono totalmente dalla vite, che è la sorgente della loro esistenza.
Gesù insiste sul verbo “rimanere”. Lo ripete ben sette volte nel brano evangelico odierno. Prima di lasciare questo mondo e andare al Padre, Gesù vuole rassicurare i suoi discepoli che possono continuare ad essere uniti a Lui. Dice: «Rimanete in me e io in voi». Questo rimanere non è un rimanere passivo, un “addormentarsi” nel Signore, lasciandosi cullare dalla vita. Il rimanere in Lui, il rimanere in Gesù che Lui ci propone è un rimanere attivo, e anche reciproco.
I tralci senza la vite non possono fare nulla, hanno bisogno della linfa per crescere e per dare frutto; ma anche la vite ha bisogno dei tralci, perché i frutti non spuntano sul tronco dell’albero. È un bisogno reciproco, è un rimanere reciproco per dare frutto. Noi rimaniamo in Gesù e Gesù rimane in noi.
Prima di tutto noi abbiamo bisogno di Lui. Il Signore ci vuole dire che prima dell’osservanza dei suoi comandamenti, prima delle beatitudini, prima delle opere di misericordia, è necessario essere uniti a Lui, rimanere in Lui. Non possiamo essere buoni cristiani se non rimaniamo in Gesù. E invece con Lui possiamo tutto.
Ma anche Gesù, come la vite con i tralci, ha bisogno di noi. Forse ci sembra audace dire questo, e allora domandiamoci: in che senso Gesù ha bisogno di noi? Egli ha bisogno della nostra testimonianza. Il frutto che, come tralci, dobbiamo dare è la testimonianza della nostra vita cristiana. Dopo che Gesù è salito al Padre, è compito dei discepoli - è compito di ciascuno di noi - continuare ad annunciare il Vangelo, con la parola e con le opere.
E i discepoli - noi, discepoli di Gesù - lo fanno testimoniando il suo amore: il frutto che questa vite deve portare è l’amore. Attaccati a Cristo, riceviamo i doni dello Spirito Santo, e così possiamo fare del bene al prossimo, fare del bene alla società, alla Chiesa. Dai frutti si riconosce l’albero. Una vita veramente cristiana dà testimonianza a Cristo.
E come possiamo riuscirci? Gesù ci dice: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto». Anche questo è audace: la sicurezza che quello che noi chiediamo ci sarà dato. La fecondità della nostra vita dipende dalla preghiera. Possiamo chiedere di pensare come Lui, agire come Lui, vedere il mondo e le cose con gli occhi di Gesù. E così amare i nostri fratelli e sorelle, a cominciare dai più poveri e sofferenti, come ha fatto Lui, e amarli con il suo cuore e portare nel mondo frutti di bontà, frutti di carità, frutti di pace.
Il mese di maggio che ci sta davanti divenga ulteriore palestra di preghiera con il Santo Rosario che ci aiuti a portare frutto e a testimoniare il messaggio del Vangelo.