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Una società senza figli è una società senza futuro
Tra meno di vent’anni, la diminuzione del numero di lavoratori attivi e il conseguente aumento degli anziani renderanno impossibile sostenere il nostro sistema di welfare. Eppure l’allarme natalità non figura mai tra le priorità dell’agenda politica. Servirebbero misure familiari davvero efficaci, pensate per favorire le giovani coppie. Ma, allo stesso tempo, è indispensabile un’azione culturale univoca, tesa a dimostrare che il “far famiglia” non è solo bello e giusto, ma è un vantaggio per tutti. Eppure non si fa niente, o quasi. La denatalità non è un fenomeno casuale, che spunta all’improvviso. Deriva dalla disgregazione della famiglia. Dalla crisi del nostro modello di coppia. Dal crollo del numero dei matrimoni. Dalla costante impennata di separazioni e di divorzi dell’ultimo trentennio. Da un quadro socio-culturale che sembra congegnato in modo perfetto per rendere sempre più difficile la vita a quelle famiglie in cui l’amore si lega alla generatività, alla fedeltà, alla gioia dell’impegno reciproco a tempo indeterminato. Se non riusciamo a ristabilire questo paradigma non basteranno certo detrazioni e sgravi fiscali per voltare pagina. Certo, anche gli interventi economici sono necessari, ma, come dimostrano le esperienze di altri Paesi europei, non fanno la differenza. Per questo è indispensabile un grande progetto educativo su amore e sessualità – cioè sulle ragioni stesse della vita – da costruire con il contributo di tutti. La Chiesa, con il rilancio del patto educativo globale voluto da papa Francesco, è in prima linea. È però indispensabile che l’intera società, in modo trasversale, senza barriere etniche, culturali o religiose, si faccia carico di questa drammatica emergenza.
Luciano Moia